Nel libro: "Che c'è di male nel sentirsi speciali? Trasformare il narcisismo in un vantaggio per sé e per gli altri", dello psicoterapeuta Craig Malkin, oltre a parlare del Narcisismo, viene per la prima volta trattato l'Ecoismo. Quest'ultimo non è una patologia o una sindrome, ma solo una modalità di organizzare la propria personalità , le relazioni con gli altri ed il modo di vivere. Come il narcisismo, l'ecoismo può causare molta sofferenza, in primis a noi stessi, e spesso sono proprio gli ecoisti le vittime privilegiate dell'egoismo e della prevaricazione dei narcisisti. Entrambi, comunque, due facce della stessa medaglia.
Il termine ecoista deriva dal nome della ninfa Eco, che nel mito, si innamorò perdutamente di Narciso, il quale non solo non la contraccambiò, ma la derise per il suo amore.
Malkin, nel suo libro, riporta varie storie dei suoi pazienti, tra cui quella di Mary, una donna di trentacinque anni, soprannominata dai suoi amici "l'ascoltatrice", poiché se qualcuno aveva bisogno di raccontare un problema, lei era sempre disponibile. Mary sta però attraversando un momento difficile della sua vita, forse perderà sia il lavoro che la casa, dei cambiamenti che mai avrebbe voluto.
M.: "Non ho alcuna idea di quel che voglio fare," ha ammesso. "Di solito posso gestire incertezze come questa, invece ultimamente mi sento molto più tesa. Mi sento in trappola, sono angosciata."Nessuno nemmeno il suo compagno, riusciva a capire fino a che punto arrivasse il turbamento che provava. Non glielo avrebbe mai detto. Invece, passava un periodo in cui, per usare le sue parole, "scompariva"." Che cosa le rende difficile parlare con il suo ragazzo e con i suoi amici di tutto questo?" le ho chiesto."Non lo so...Ho paura di allontanarli. Non voglio che pensino che non so cavarmela da sola. Non voglio che pensino che sono in difficoltà .""E invece va tutto bene se sono loro ad avere bisogno di lei?""Le regole sono diverse," mi ha risposto sorridendo. "Non so spiegare perchè.""La sua regola principale," ho osservato, "è stata piuttosto singolare: cercare di non aver bisogno mai di nulla. Come se, non manifestando aspettative e desideri, chiedendo di meno, si potesse guadagnare la fiducia e l'amore degli altri. Ma adesso che avrebbe bisogno di qualcosa di più, ha paura che le persone con cui è in rapporto non possano gestirlo. Per questo è così turbata. Ha bisogno di un po' di attenzione speciale, per una volta, ma ha difficoltà a chiederla."
Gli ecoisti si concentrano sempre sui bisogni degli altri, come strategia inconscia per non essere abbandonati. Credono che meno spazio occuperanno con le loro preoccupazioni e bisogni, più saranno amati. Non vogliono essere notati per quello che fanno per gli altri, per l'essere partner che danno sostegno, lavoratori produttivi e ascoltatori attenti. Il sostegno che danno è unidirezionale, non c'è reciprocità nelle loro relazioni, si ha la sensazione di avere bisogno di loro più di quanto loro abbiano bisogno di noi. Preferiscono essere il terapeuta perché li distoglie dai propri desideri e aspettative. Sono sempre timorosi di superare il confine che li separa dall'egoismo e stanno quindi molto attenti a quello che chiedono, è lecito per loro chiedere solo piccole cose.
Possono sentirsi felici e soddisfatti dei propri amici e partner per lunghi periodi, ma i problemi sorgono quando iniziano a volere di più.
Non gli basta più essere quelli che ascoltano e sostengono, ed allora subentra il PANICO. Un particolare panico, quello del bisogno. Per persone che hanno il terrore di avere necessità di qualcosa dagli altri, l'aumento del desiderio di ricevere sostegno, comprensione e conforto può portarle a tentativi frenetici per sentirsi meglio, come telefonate nel cuore della notte, sms continui, richieste di incontri più frequenti.
Nello stesso tempo però si sentono attanagliate da un profondo senso di colpa per quelle esigenze improvvise. Un turbamento che non dà loro pace. Non hanno le idee chiare in questi momenti di panico da bisogno su cosa veramente potrebbe aiutarle. Dopo aver passato tanto tempo ad evitare i propri bisogni e desideri, non sanno più cosa chiedere, come e a chi chiederlo. Hanno evitato per anni un'attenzione speciale, quella cercata invece spasmodicamente dai narcisisti. Una volta passata la crisi, scivolano di nuovo nel loro modo di evitare i propri bisogni, di non disturbare, di non esserci.
L'ecoista ha interiorizzato il divieto a sognare, a desiderare e ad essere speciale come se questi fossero peccati di superbia ed egoismo. Ma il concedersi di sognare, di desiderare e di volere che qualcuno ci faccia sentire speciali, generano a loro volta amore verso noi stessi, quell'amore fondamentale per amare veramente l'altro da sé, senza la paura dell'abbandono o di disturbarlo.
L'amore si fonda sulla reciprocità , altrimenti non fiorisce. Ed allora per le persone Eco è fondamentale andare ad annaffiare ogni giorno i propri bisogni, l'amore e l'ascolto per se stesse.
Iniziare a prendersi cura di sé perché si è un essere speciale.
E' un lavoro lungo e continuo quello dell'ecoista, come d'altronde quello del narcisista, per recuperare la sua voce, che come alla ninfa è stata tolta da determinate condizioni famigliari o ambientali, che hanno vietato di riconoscersi come esseri speciali. Il problema, infatti, non è sentirsi speciali, ma volere essere gli unici ad esserlo, come avviene per il narcisismo disfunzionale.
Il riconoscerci tutti, gli uni con gli altri, le une con le altre, come esseri speciali e amabili, è il percorso che porta alla reale comprensione e compassione per sé come per gli altri, a quella reciprocità che fa fiorire l'amore.
I sentimenti infantili sono importanti non in quanto costituiscono un passato che deve venire disfatto, ma in quanto rappresentano alcuni dei poteri più belli della vita adulta che devono venire recuperati: spontaneità , immaginazione, precisione di consapevolezza e manipolazione.
Alle mie " Preziose cicatrici".
Quando due anni fa mi è stato diagnosticato il tumore al seno la prima reazione è stata di pianto e negazione. Mi dicevo che non fosse possibile che stesse accadendo a me, proprio a me! Era già un periodo tumultuoso perché ancora non avevo superato il dolore della separazione dal mio compagno che mi aveva lasciata e quindi non poteva essere che la vita si accanisse così! Quindi ho voluto pensare alla mia condizione come ad un'influenza che sarebbe passata dopo avere estratto il tutto ed io sarei tornata alla normalità , alla mia solita vita, che anche se non soddisfacente, era sicura perché conosciuta.
Era febbraio 2020 e l'operazione doveva essere a marzo, proprio quando iniziò la pandemia.
Ero sola, nella mia casa a Milano, con un tumore, con mia madre e suo marito che vivevano nel cuore della pandemia a Bergamo, mio padre vicino Milano e non potevo vedere nessuno per evitare il contagio. Sul mio posto di lavoro si era aperta improvvisamente la possibilità di essere lasciata a casa e la mia operazione era saltata perché non c'erano respiratori negli ospedali saturi di malati di Covid. Il mondo conosciuto si era sgretolato pezzettino per pezzettino, non c'era più nessun punto di riferimento fermo e mi trovavo a dover fronteggiare da sola questa esperienza che non volevo.
Ricordo che provai una grandissima paura all'idea che dovessi andare da sola ad operarmi, senza la vicinanza di nessuno. Mi afferrò il panico e solo grazie al supporto di un counselor, mio vecchio insegnante del corso, riuscì a trovare l'equilibrio per sostenermi. Fu un aiuto importante anche se sporadico e a distanza. Iniziai a respirare, a meditare tutti i giorni, mi avvicinai al buddismo che non conoscevo per imparare a meditare, a centrarmi nella respirazione. Era come essere su una barca da sola nel mezzo di una terribile tempesta e respirare è stato come il salvagente che mi ha tenuta a galla per tutto il periodo che ho dovuto attendere l'operazione. Nella sfortuna la fortuna volle che grazie al mio contratto di lavoro avessi la possibilità di farmi operare in una struttura privata, così da potermi operare prima, perché altrimenti avrei dovuto aspettare chissà quanto a causa dell'emergenza sanitaria (alcune persone non ce l'hanno fatta e si sono aggravate fino alla morte).
Passai i giorni che mi separavano dall'operazione a fare pace con questa "cosa" nel mio seno. Sentivo la necessità di calmare la rabbia e il dolore che mi aveva procurato . Mi sentivo vittima di un'ingiustizia da parte della vita. Avevo bisogno di fare pace con la vita e quindi anche con il tumore. Respiravo, mi accarezzavo, parlavo con quel tumore. Non era estraneo alla mia vita poiché nella mia famiglia aveva colpito la mia nonna materna, che ne era morta e la mia zia materna, che aveva fatto la mastectomia. La mia mamma era rimasta orfana a 10 anni a causa del tumore al seno della sua mamma, quindi la narrazione famigliare di questa malattia era mostruosa, qualcosa di terribile che causava dolore, distruzione della felicità e morte. Iniziò ad incuriosirmi il fatto che io, mia zia e mia nonna avessimo avuto il tumore tutte alla stessa età , quasi fosse una maledizione famigliare.
In realtà spesso se il tumore è genetico accade proprio questo, si presenta alla stessa età nelle generazioni successive, anche se non è una certezza. Inoltre c'è anche l'eredità psicologica, la psicogenealogia può spiegare in parte tale fenomeno. Come se un irrisolto famigliare continuasse a ripetersi nelle generazioni successive cercando la sua risoluzione ogni volta. Iniziai a leggere la "Sindrome degli antenati", la "Metagenealogia" e a parlare con le mie antenate, in modo immaginale ovviamente. No, non stavo impazzendo, stavo anzi pian piano trovando la via per accettare la malattia, comprenderla ed accogliere l'imprevidibilità della vita. Cercavo di fare pace con me stessa e per farlo sono andata anche a ricostruire le vite della mia nonna e di mia zia per comprendere cosa portavo di loro in me.
Infine arrivò il giorno dell'operazione. Finì in un ospedale in cui credo non andrò mai più nella vita, era come un albergo a 4 stelle, una stanza di lusso ed ero praticamente sola nell'ospedale se non per un'altra donna che si operava come me.
Prima di chiudere gli occhi l'anestesista mi disse di pensare ad una cosa bella che mi faceva stare bene, ed io subito pensai al mare della mia amata Sicilia, pochi secondi e mi addormentai. Feci il sonno più riposante della mia vita. Mi svegliai di sera, sentì tutti i miei parenti ed amici, ero felice, leggera sotto gli oppiacei. Non c'erano metastasi, il quadrante viene immediatamente ricostruito così che non si vede nulla a parte la cicatrice. Pensai a mia nonna e mia zia che avevano dovuto subire interventi molto più invasivi perché allora non esisteva ancora la quadrantectomia, alla mia nonna negli anni '50 le venne tolto tutto creando grossi problemi alla muscolatura della spalla, del braccio, della schiena, del torace per sempre.
Oggi è diverso, la qualità della vita dopo è migliore di allora, ma comunque tutto cambia inevitabilmente. Il braccio non è più lo stesso e necessita di cura e fisioterapia. Per ogni donna è differente, si avrà più o meno fastidio, i nostri corpi sono diversi. Inoltre la terapia soppressiva ormonale, che ci fa entrare in menopausa farmacologica modifica definitivamente la nostra fisiologia, la nostra pelle, le nostre articolazioni, il nostro umore. E il nostro ritmo di vita è definitivamente legato a controlli medici costanti, esami, ecografie, che sono serrati nei primi cinque anni e poi si vedrà cosa accadrà .
Tutto è cambiato definitivamente, non è come un' influenza che passa come credevo e desideravo all'inizio.
La psiche è unita indissolubilmente al corpo e si ritrova a fare i conti con la fine. E' finito definitivamente un periodo della vita e nemmeno si è potuta avere la gradualità per pian piano rendersene conto perché il cambiamento è avvenuto repentinamente, ma in realtà non è sempre così? Tutto è cambiato nel giro di pochi mesi. Un grande salto nel vuoto, nell'ignoto.
Un giorno mentre me ne stavo nel letto con dolori articolari fortissimi, a causa di una reazione allergica al primo farmaco utilizzato nella terapia ormonale che non mi consentiva nemmeno di alzare la coperta a causa di dolori fortissimi alle articolazioni dei polsi, in preda alla disperazione perché ero sola e non sapevo nemmeno come cucinarmi, cercavo in ogni modo di fare passare i dolori. Respiravo, meditavo, facevo micro movimenti dello yoga, ma niente non c'era verso, i dolori anziché diminuire aumentavano. Erano lì e non volevano andarsene. E allora mi arresi.
Nel momento in cui mi arresi accadde qualcosa, fu come un atto d' amore.
Invece di cercare a tutti i costi di eliminare i dolori, di farli passare velocemente, li accolsi. Mi lasciai affondare nel letto e dissi dentro di me: "Va bene, va bene così, siete qui dolori e vi sento". Fu come un abbraccio a tutto il corpo e alla mia psiche, alla mia anima. Restai lì con tenerezza. I dolori non passarono, ma tutto divenne più morbido, il corpo e la mente. Mi preparai da mangiare con lentezza, mi nutrì con attenzione e riposai per molto tempo.
Il mio corpo mi diede quel giorno una grande lezione di vita, che cerco sempre di ricordare in ogni momento in cui tutto cambia e che ogni speranza è disattesa:
vivere è un atto d'amore, in ogni momento accogliere quello che arriva e che c'è, è un atto d'amore in cui con tenerezza si abbraccia ogni parte di sé fisica e psichica, ogni accadimento fuori e dentro di noi.
Le cose non smetteranno di cambiare, non andranno come desidero, la sofferenza continuerà a presentarsi. Solo fermandomi, come quel giorno in quel letto, potrò abbracciare tutto quello che c'è e sentirne allora la gioia che deriva dall'atto d'amore verso di sé, l'altro da sé, verso la sofferenza, la fine e l'ignoto.
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