Il titolo del libro di Polster ci parla profondamente del
suo contenuto. Il richiamo al romanzo e alla similitudine di questo con la vita
di ogni persona, indica come “la prospettiva del romanziere può essere
trasformata in metodo terapeutico”.
Il terapeuta può avvertire più facilmente come aspetti unici e irripetibili di ogni vita il dramma, la suspense, l’intreccio e il superamento
creativo delle esperienze problematiche di ogni individuo , se si pone come un romanziere curioso e incantato nell’ascolto
della narrazione dell’altro. Il sottotitolo, “Quando raccontarsi è terapia”, ci
dice dell’importanza dell’effetto curativo della presa di coscienza del
paziente dell’interesse straordinario che può suscitare negli altri con il
suo racconto. Interesse che porta alla soddisfazione di un’esistenza
confermata, riconosciuta, ricca di significato nei suoi aspetti sia dolorosi
che piacevoli . Entrambi, quindi, il romanziere ed il terapeuta, invitano
ognuno di noi “a sollevare il coperchio posto sulla nostra vita, per scoprire
le meraviglie celate là sotto”.
La nostra vita è un dramma,
è il susseguirsi di cambiamenti, nuove opportunità, minacce, avventure fin
dalla nascita, ma a stento riusciamo a riconoscerlo più spesso affascinati
dalle avventure degli altri e convinti della totale mancanza di interesse della
nostra vita. Dice Polster: “nessuno può fare a meno di essere interessante. E’
però possibile ignorare questo profluvio di influssi e molti riescono a farlo
con straordinaria abilità.” Riconoscere la nostra singolarità come quella degli
altri, permette di farci toccare profondamente dalla nostra vita, di sentirne
le emozioni , il valore e il suo essere speciale.
Ci sono persone che ignorano il proprio dramma ed il suo valore, e fanno in modo da impedire agli altri di occuparsi di loro, si presentano linguisticamente sterili, moralmente neutre, visivamente insignificanti, oppure sembrano del tutto prive di energia. Una specie di travestimento per distogliere l’attenzione da ciò che in loro è interessante. Una volta che i loro tesori nascosti vengono disseppelliti, c’è chi continua ad aprirsi e chi al primo segnale di pericolo torna a rifugiarsi nel vuoto su cui ha sempre fatto affidamento.
Per percepire interessante la propria e l’altrui vita è necessario mettere da parte qualsiasi pregiudizio riguardo al significato dell’aggettivo interessante. Non l’essere affabili, con la lingua sciolta, esperti di politica, famosi o sexy rende interessanti le nostre vite, ma tutto ciò che costituisce quei semplici eventi che danno contesto e continuità alla vita: “la sensazione delle scarpe morbide sul pavimento di legno, la vista fuori dalle finestre del soggiorno, il cambiamento di ritmo rispetto al mio lavoro, e il piacere di bere l’acqua, un sorso dopo l’altro”.
Il dramma della vita ed il suo valore è composto dai semplici eventi della nostra vita quotidiana senza i quali non esisterebbe quella continuità che porta ad eventi che lasciano tracce più profonde. Eliminare dalla propria consapevolezza un numero eccessivo di queste esperienze elementari, dice Polster, può portare ad un iperattivismo per cercare freneticamente esperienze fruttuose che compensino ciò che inconsapevolmente è andato perduto, oppure, al contrario, ad un intorpidimento, rassegnandosi a una soporifera accumulazione di momenti privi di vitalità.
Per trasformare l’ordinario nel notevole, e così coglierne la drammaticità, è necessaria una grande sensibilità. Il terapeuta usando lo stesso processo di selezione creativa del romanziere nei confronti dei movimenti, delle parole, delle sensazioni, metterà in rilievo le esperienze cruciali, facilitando l’affiorare del dramma. L’impulso momentaneo di licenziarsi a lavoro, un accesso di rabbia, un pensiero suicida, una telefonata ai propri genitori, episodi per lo più trascurabili, possono a volte sconvolgere l’esistenza se viene prestata loro l’attenzione “gonfiata” che li trasforma nel notevole, un tipo di attenzione che accomuna la narrativa e la psicoterapia. Anche nella nevrosi spesso si gonfia l’importanza di certi avvenimenti o caratteristiche, ma la differenza con l’attenzione gonfiata del terapeuta è che l’elemento notevole assume significato in una prospettiva allargata, è il centro focale di un racconto che continua nonostante la grande attenzione data a quell’evento in quel momento, funzionale all’emergere della drammaticità ed alla continuità.
Il termine dramma deriva dal greco e significa “ azione o atto”. Per chi attraversa la sofferenza certi atti sono necessari per recuperare il senso della prospettiva, alleviare il dolore e rimanere nella continuità.
Atti come piangere, tremare, parlare, raccontare storie, lamentarsi, tornare a lavorare, bere ponce bollente, fare lunghe passeggiate, o godere della compagnia di coloro che ci sono rimasti, permettono di liberare l’energia accumulata. Questa liberazione avviene in modo graduale così che il dolore della perdita, della vergogna e del fallimento viene gradualmente eliminato attraverso il fluire dell’autoconsapevolezza derivante da questi atti.
Il terapeuta come il romanziere coltiva in sé il gusto di vedere quel che c’è da vedere: un irrigidirsi delle labbra, uno sguardo raccapricciato, la contraddizione tra la mascella tesa e lo sguardo implorante. Permette a ciò che prima era nell’ombra di acquistare direzionalità e capacità di emozionare cosicché la persona abbia la sensazione finalmente di andare da qualche parte, di vedere confermata l’esperienza individuale. L’arte dello psicoterapeuta come quella del romanziere restituirà dignità al Sé irrealizzato liberandone la tristezza, la vivacità, l’angoscia, la dolcezza, l’amore, la rabbia.
La vita confermata, cioè raccontata, assume un senso ed una consistenza a volte maggiore della vita grezza, vissuta. Gli eventi vissuti che continuano a rivivere nel racconto di una storia sembrano sempre più reali e importanti. Non tutti sanno raccontare allo stesso modo, alcuni confondono la storia con l’evento e la ripetono in continuazione come per ricreare l’evento originario, altri raccontano una storia quando invece sarebbe più opportuno intrecciare un dialogo. Altri ancora nel racconto distorcono la realtà dei fatti, alcuni raccontano con un grugnito. Infine c’è chi non racconta perché teme di essere messo in cattiva luce dai fatti narrati.
Il mezzo preferito per narrare resta la conversazione in cui la narrazione crea un sentimento di comunione, di contatto, tra il narratore e l’ascoltatore. Un sentimento che per crearsi ha bisogno non solo del racconto, ma anche dell’ascolto non sempre presente e possibile. L’ascoltatore psicoterapeuta deve essere, in un certo senso, un cercatore di storie, sempre attento a cogliere i segni di una buona storia anche quando il paziente non è disposto a lasciarsela tirar fuori. Spesso, infatti, ciò che avviene nella vita resta fuori dalla coscienza, si percepisce come un alone, per esempio un senso di vergogna, di paura o inadeguatezza inspiegabili ed in terapia si presta molta attenzione a questa elusività dell’esperienza. Mediante un processo di elaborazione ed accumulazione di dettagli che avviene tramite la narrazione delle storie della nostra vita quotidiana possiamo far chiarezza su questa esperienza sfuggente.
Il narrare storie è anche un modo per unire la nostra vita a quella di altre persone, si crea un’unione emotiva.
Il terapeuta, come il romanziere, cerca di trasformare il banale nell’affascinante. Lasciarsi affascinare dal paziente rende il lavoro del terapeuta effettivamente produttivo, permette di canalizzare l’attenzione, di attivare l’inventiva e di riconoscere i fatti. Spesso il paziente è molto bravo nell’apparire poco interessante, noioso, spetta allora al terapeuta individuare quelle qualità rimaste nascoste e con la propria attenzione indurre una sorta di “trance ipnotica” che permetta al paziente di liberarsi dalle sue abituali barriere. La terapia è un luogo per il paziente in cui egli stesso recupera la sua capacità di lasciarsi affascinare e affascinando l’altro rende onore e valore al proprio comportamento.